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17   ottobre

Un nuovo approccio alla storia dell’Ue: Intervista a Kiran Klaus Patel

Kiran Klaus Patel insegna storia alla Ludwig-Maximilians-Universität München ed ha scelto come recente oggetto di studio il progetto europeo. Il suo è un approccio che non guarda alle vicende diplomatiche, ma piuttosto alla crescita di un’istituzione internazionale divenuta centrale per la vita degli europei ma non nata con queste ambizioni di divenire quel che è oggi. Patel è stato ospite dell’Istituto Ciampi e della Scuola Normale nel mese di settembre, gli abbiamo posto alcune domande sulle vicende che ha indagato e sul presente dell’Unione.

Perché ha deciso di studiare la storia dell’UE con un approccio diverso da quello di molti altri storici?

L’Unione Europea ha ormai una storia relativamente lunga, eppure gli storici tendono a non occuparsene molto. Penso invece che dovremmo studiare meglio quel percorso, non si tratta solo di discutere dell’oggi, c’è una storia e questa aiuta anche a capire il presente.

In secondo luogo, ho ritenuto che ci fossero più modi di guardare a questa vicenda rispetto a quanto fatto fino ad ora, non solo una storia delle idee o il focus sulla diplomazia e i negoziati, ma anche capire come questa storia abbia influenzato la vita delle persone.

Lei colloca l’esperimento europeo nel contesto, ricordandoci che alla fine della Seconda Guerra Mondiale c’erano diversi progetti istituzionali multinazionali in competizione e che l’idea originaria non era poi così centrale come è diventata. Cosa ha reso questo progetto regionale relativamente piccolo un successo?

L’Unione Europea è diventata così importante che tendiamo a proiettare l’idea che ne abbiamo oggi – che questa ci piaccia o meno – nel passato. Si dimentica quanto piccola e fragile fosse questa istituzione all’inizio. La storia avrebbe potuto facilmente prendere un’altra direzione. Come mai tra i molti forum internazionali creati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, proprio questo è diventato sempre più importante? Penso che ci siano tre ragioni, oltre alle coincidenze, alla fortuna e alle circostanze. Questa organizzazione rispetto ad altre aveva ed ha un “DNA economico” che la rendeva meno problematica di altre. Un esempio è il Consiglio d’Europa, che si occupava anche di diritti umani e cultura, cose spesso considerate come riserva di caccia degli Stati nazionali. Gli interventi in ambito economico della Comunità Economica Europea, si potevano presentare come strumenti per aumentare la prosperità o misure tecniche che non minavano la sovranità nazionale. Questo è stato spesso il modus operandi dell’integrazione europea: utilizzare strumenti economici anche per fini politici, il che ha portato ad un aumento delle competenze e dei poteri del progetto europeo. Il secondo punto è che il diritto europeo è una fonte di diritto più stringente rispetto alle normali organizzazioni internazionali – e in questo caso è stato un processo, poiché non era nei trattati originali. Ciò ha reso più facile per la Comunità Europea acquisire potere e centralità rispetto al Consiglio d’Europa o all’OCSE, ad esempio quando era necessario affrontare questioni che richiedevano regolamentazioni internazionali come i satelliti o le politiche ambientali. Il terzo punto riguarda le risorse, la CEE aveva un bilancio che poteva essere utilizzato non solo per il funzionamento dell’istituzione, poteva allocarne verso nuovi ambiti, aumentando così di volta in volta le proprie competenze.

Il seguito dell’intervista al professor Patel su La rivista de Il Mulino