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9   luglio

L’Europa e la mercificazione dei servizi pubblici – intervista a Roland Erne

Roland Erne è professore di Integrazione europea e relazioni di lavoro presso la University College Dublin School of Business e ricercatore principale del progetto del Consiglio europeo della ricerca (ERC) “Labour Politics & the EU’s New Economic Governance Regime (European Unions)” presso l’UCD Geary Institute for Public Policy. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati in un libro, “Politicising commodification” (scaricabile qui) e la sua presenza all’Istituto Ciampi è stata l’occasione per un simposio di presentazione del libro (video in coda all’intervista). Abbiamo chiesto al professor Erne di discutere alcuni dei risultati.

Il libro descrive un cambiamento nella governance dell’integrazione europea da orizzontale a verticale (dall’alto verso il basso, più prescrittiva, ecc.), puoi descrivere brevemente questa “rivoluzione silenziosa”?

Rivoluzione silenziosa” è una frase usata dall’allora presidente della Commissione Barroso, che l’ha pronunciata parlando a braccio dopo la crisi finanziaria del 2008 per descrivere cosa sarebbe successo nella governance europea. È stata una rivoluzione? Sì, dall’alto e che promuoveva le idee degli interessi aziendali e dei leader dell’Ue. Nel 2007 abbiamo condotto un ampio studio intervistando leader di imprese ed europei e, all’epoca, quasi tutti affermavano che solo parlare di governance e relazioni industriali nella stessa frase sarebbe stato troppo per l’UE. Tutti erano convinti che non ci fosse bisogno di relazioni industriali europee o di politiche sociali, che le uniche cose di cui avevamo bisogno erano il mercato comune e l’unione monetaria e che le pressioni orizzontali del mercato avrebbero portato alla convergenza tra paesi. La crisi ha dimostrato che la creazione del mercato comune non ha creato convergenza ma grandi squilibri economici che hanno messo a rischio l’intero progetto europeo. Ricordo che durante un incontro collaterale durante la visita della troika a Dublino un collega ha incalzato il rappresentante della troika dicendo: “Queste politiche neoliberiste non funzionano”. La risposta è stata: “Hai ragione ed è per questo che siamo qui, abbiamo bisogno di una convergenza tramite un intervento politico dall’alto verso il basso”. Nel 2011 questo ha portato al cosiddetto “six pack” che ha rafforzato il Patto di stabilità e crescita e introdotto la “Procedura per gli squilibri macroeconomici” che ha dato alle autorità europee il diritto di prescrivere cambiamenti di politica in aree come le relazioni di lavoro e la politica sociale che erano al di fuori dell’intervento diretto dell’UE. Passo dopo passo siamo arrivati ​​alla Nuova governance economica (NEG).

Questa governance verticale ha spinto verso la mercificazione transnazionale dei servizi pubblici. Quando è iniziata e perché è accaduta?

La mercificazione delle relazioni di lavoro e dei servizi sociali è l’idea di rendere queste cose una merce da scambiare sul mercato. Ciò ha implicazioni quantitative e qualitative: quanto spendi per le politiche sociali è importante, ma anche come sono organizzate le relazioni industriali. Un buon esempio è la spinta a decentralizzare la contrattazione collettiva, rendendo ogni individuo più esposto alle forze di mercato. Nei servizi pubblici ciò significherebbe la riorganizzazione dei metodi di finanziamento collegandoli non alle esigenze ma ad indicatori di mercato. Questo è il quadro analitico che abbiamo.

Il problema del nuovo regime di governance economica non è che sia verticale, leggi europee sono state richieste anche dai sindacati, ma il modo in cui vengono formulate queste prescrizioni. Queste vengono fatte dalla Commissione (un ramo dell’esecutivo) poi vengono discusse in una serie di forum e infine adottate dal Consiglio dei ministri delle Finanze. Il Parlamento europeo non ha voce in capitolo nel processo. Questo è un punto importante, poiché in passato i sindacati sono riusciti a ottenere miglioramenti ad alcune direttive grazie alla pressione sul Parlamento. Queste prescrizioni sono specifiche per paese e annuali, il che rende più difficile per i sindacati e i movimenti sociali reagire a livello europeo. Una direttiva sull’aumento dell’età pensionabile creerebbe una grande campagna sindacale europea contro di essa, ma poiché le riforme vengono fatte paese per paese in momenti diversi, è più difficile unirsi. Alcuni pensavano che la prescrizione nazionale fosse una buona idea poiché ci sono differenze tra paese e paese. Ma l’idea di integrazione differenziata non ha funzionato, vengono fatte prescrizioni severe ai paesi che sono indietro in quel che riguarda la mercificazione dell’agenda dei servizi pubblici. Per fare un esempio, Germania e Italia avevano già approvato un finanziamento alla Sanità basato sul numero di pazienti e questo è stato replicato altrove, ad esempio in Irlanda.

Abbiamo esaminato le forme prese dalle prescrizioni di governance economica in due fasi, dalla crisi finanziaria al 2019 e poi al regime NEG post Covid. La prima fase è una tendenza mercificante soprattutto in relazione ai servizi pubblici e al taglio della spesa, mentre la seconda fase è più qualitativa per rendere i servizi pubblici più simili al mercato, per commercializzarli. Quindi, si finisce con servizi pubblici che vengono acquistati da grandi gruppi internazionali – come a Firenze dove ATAF è stata presa dalla francese Ratp.

Quali sono le forze dietro la mercificazione?

Esiste una dimensione europea specifica e una dimensione capitalista globale. L’economia capitalista deve continuare a crescere e conquistare costantemente nuovi mercati. Pertanto, i servizi pubblici sono un buon campo in cui espandersi. In passato, questi stessi servizi non erano mercificati. Oggi persino l’organizzazione dei servizi pubblici diventa un aspetto dell’accumulazione di capitale. Questo è un modello globale. Tutte le principali organizzazioni nazionali dei datori di lavoro erano d’accordo con l’idea di integrazione verticale e con le nuove regole, ad eccezione di quella tedesca, che aveva l’idea che se si fa dei salari un argomento europeo inserendoli nella prescrizione NEG, prima o poi non ci saranno solo tagli ma anche aumenti salariali, soprattutto in Germania. Questo è ciò che è successo dopo il Covid, quando la Commissione si è resa conto che la reazione non poteva essere simile a quella che l’Europa ha avuto dopo la crisi finanziaria. Il “New Deal” aveva due componenti: denaro agli Stati membri per gli investimenti nel settore pubblico e la direttiva sul salario minimo. C’è stato un dibattito sull’idea che l’Europa regolamentasse i salari, poiché un articolo del trattato europeo afferma che l’UE non può regolamentare i salari. Questo era il punto dei datori di lavoro, che ha reso problematica anche la raccomandazione precedente, come hanno notato i sindacati, e quindi questa direttiva sul salario minimo è stata classificata come una norma sulle condizioni di lavoro.

Il modello verticale di governance ha anche ridotto il potere dei sindacati e dei movimenti sociali che tendono a essere organizzati a livello nazionale…

Sì e come ho detto prima, i miglioramenti in termini di politiche sociali dovrebbero essere fatti attraverso l’approccio direttivo, che è più democratico e coinvolge il Parlamento europeo, che nel caso del salario minimo ha migliorato la proposta della Commissione. Questo anche perché i sindacati possono avere un impatto nel fare pressione sui parlamentari che devono essere eletti. Un secondo punto è legato all’approccio paese per paese del regime NEG, nazionalizza l’elaborazione delle politiche, è sempre la Commissione contro le nazioni, non un dibattito europeo, ma un governo europeo che dice ai singoli membri cosa fare.

Nel libro ricordate anche come il Covid abbia cambiato l’atteggiamento dell’Ue, ma sottolineate che anche in una direzione più incline agli investimenti, l’attenzione era rivolta ai servizi che sono principalmente considerati produttivi.

Il post Covid è stato un momento positivo perché si è scelto di investire ma, per fare l’esempio della Sanità, i soldi erano per l’IT negli ospedali e per più edifici e ristrutturazioni, non per infermieri e dottori. Il ragionamento al di là di questo era “infermieri e dottori sono di competenza nazionale, possiamo solo sostenere gli investimenti in infrastrutture”. Quindi le nuove risorse erano principalmente a sostegno delle imprese. Poi è venuto il ripristino del Patto di stabilità e Crescita votato anche da una parte importante del gruppo socialdemocratico, non solo dai paesi del nord e frugali. Ho incontrato il Commissario per gli affari sociali Nicholas Schmit su un aereo e gli ho fatto alcune domande e il succo è che qualsiasi progresso sociale avviato con politiche che rompevano con l’ortodossia europea durante la fase post pandemica può essere invertito.

Il nuovo Parlamento europeo è appena stato eletto e presto avremo una nuova Commissione. Cosa possiamo aspettarci dalla nuova Commissione e da un parlamento in cui le forze nazionalistiche sono più forti di prima?

La discussione sull’elezione di una nuova Commissione e di un nuovo presidente della Commissione dovrebbe riguardare le politiche sociali e la governance e in quale misura la prossima legislatura limiti la reintroduzione delle regole che hanno aiutato e spinto la mercificazione dei servizi pubblici e il resto delle politiche di cui parliamo nel nostro libro. Il ruolo dei socialdemocratici, in particolare di quei partiti che hanno una relazione strutturale con i sindacati, dovrebbe essere cruciale. Sarà così?