Quali sono le condizioni dei lavoratori nella platform economy, cosa succede al di là dell’interfaccia? Sarrah Kassem, docente dell’Università di Tubingen che nei prossimi mesi sarà alla Scuola Normale Superiore, ha svolto ricerche e scritto su questo tema. Kassem è stata ospite della conferenza dell’Istituto Ciampi “The impact of AI on society”; le abbiamo rivolto alcune domande sulla sua ricerca.
Nel suo libro parla di tre diverse generazioni di piattaforme. Quali sono i cambiamenti e cosa cambia per i lavoratori?
Molte cose sono cambiate in pochi anni. La prima fase è quella in cui le persone hanno iniziato a internet diviene un fenomeno di massa e le piattaforme offrivano servizi che esistevano portandoli online. A metà degli anni ’90 Amazon ha portato la vendita di libri dai negozi all’online, EBay merci in generale, mentre Google è un po’ diverso perché cercava di categorizzare internet. Anche l’organizzazione del lavoro era tradizionale: si andava in ufficio, si riceveva uno stipendio. Questa è la fase della bolla delle dot.com, dopo la quale alcuni soggetti crescono mentre molti non sopravvivono allo scoppio della bolla.
La seconda fase è quella della pubblicità mirata, le piattaforme monetizzavano sui dati che raccoglievano. Così Google si concentra sulla pubblicità mirata. È il momento in cui nasce Facebook, anch’essa costruita sulla pubblicità. Facebook ha potuto svilupparsi grazie alla crescita esponenziale del numero di persone connesse a Internet. In questa fase si assiste alla nascita dei social media e anche all’espansione di Amazon, che da negozio online è passato a lanciare i suoi servizi di lavoro Amazon, il suo cloud che ha monopolizzato il mercato del cloud e il Mechanical Turk (MTurk), che è la piattaforma di micro-task online. Rispetto agli anni ’90, quando il lavoro era organizzato in modo tradizionale, con MTurk si ha il primo strappo, in quanto i lavoratori potevano essere dislocati in qualsiasi angolo del mondo. Si trattava di uno strumento in anticipo sui tempi, visto che la gig economy è nata più tardi. Outsourcing e offshoring erano già diffusi e nel nostro vocabolario, la novità riguarda la relazione di lavoro: non si era più dipendenti ma appaltatori. Bastava avere una connessione per lavorare online da qualsiasi luogo con una retribuzione a cottimo e pagata solo se l’attività veniva approvata dal cliente.
È un cambiamento importante che ha avuto un’impennata dopo la crisi finanziaria del 2008, momento in cui è nata la gig economy, anche se all’inizio era mascherata da sharing e on demand economy – “Hai un’auto? Hai una stanza che non viene utilizzata? Vuoi guadagnare qualcosa?”. Questa flessibilità appare molto diversa perché i lavoratori non sono tutelati, ricevono un gig wage (paga per singola prestazione) e ci si aspetta che paghino tutte le spese di tasca propria. È una forma di iper-esternalizzazione. La storia dell’economia delle piattaforme è quindi una storia di lavoro sempre più precario e non tutelato, anche se a livello nazionale, qua e là (e a livello di Unione Europea) si sta cercando di riclassificare questi lavoratori come tali per far sì che ottengano i diritti del lavoro.
Lei scrive dei depositi di Amazon come di una fabbrica taylorista digitale, cosa intende?
Amazon ha implementato con successo un modo di organizzare i lavoratori e di lavorare nel modo più efficiente possibile per assicurarsi di essere l’azienda più attenta al cliente. Chi fa un ordine deve riceverlo nel modo più fluido e veloce possibile. Anche in periodi di alta stagione come il Black Friday o il Natale. Un magazzino Amazon è diviso in “Inbound” e “Outbound”. Inbound è il luogo in cui i prodotti arrivano, vengono scansionati ed etichettati da un lavoratore, poi un altro li immagazzina. Qui l’efficienza è legata al modo caotico di immagazzinare, i prodotti simili non vanno insieme: un orsacchiotto accanto a un libro accanto a un cappello, dove c’è spazio. Quando nella fase “Outbound” prendo un prodotto, vado a cercarlo e non trovo molti cappelli, ma solo uno in quello scaffale e non devo essere sicuro che sia della marca, taglia o colore giusti. L’Outbound è la parte del processo in cui si riceve un ordine, lo si va a ritirare prima che passi all’imballaggio e alla spedizione.
I lavoratori hanno un salario unitario all’ora, quindi i lavoratori che ho intervistato hanno parlato di circa 120 articoli all’ora, ma in altri rapporti e ricerche sappiamo che altrove sono di più – il doppio in Polonia, 400 in alcuni magazzini statunitensi. Un lavoratore deve mantenere questo ritmo per l’intera giornata. Quando si lavora in uscita, la pressione sulle prestazioni è maggiore, perché il cliente sta già aspettando. La divisione del lavoro è enormemente taylorizzata e la sorveglianza è sia umana che tecnologica incorporata nel dispositivo che si sta utilizzando. La sorveglianza umana può negarti una pausa bagno – ma questo dipende dal contesto, dalle leggi e dalle regole del Paese – lo scanner manuale controlla il rispetto delle prestazioni che ci si aspetta. I lavoratori mi hanno raccontato di avere gli incubi: il tesserino non funziona, si è stati licenziati senza per non aver rispettato i ritmi – cosa che non potrebbe accadere in Germania.
È interessante notare che, con alcune eccezioni, Amazon tende a costruire i suoi grandi magazzini dove la disoccupazione è elevata. In Bessemer Alabama, il messaggio anti-sindacale è stato: “se sindacalizzate, ci trasferiamo e qui non rimarrà nulla”.
I magazzini di Amazon sono costruiti principalmente in luoghi vicini ad aeroporti o autostrade e spesso sono situati in aree con un alto tasso di disoccupazione. In alcuni Paesi il turn-out è molto alto e ci si vuole garantire che ci sia manodopera disponibile a sostituire chi lascia. Spesso Amazon offre un salario superiore al salario minimo, un’assicurazione e la possibilità di aderire a un sindacato (questo dipende dal Paese), trovare lavoro in zone depresse è dunque facile anche se si tratta di un lavoro estenuante e ad altissima pressione prestazionale.
Parliamo del lavoro online, che è invisibile. In cosa è diverso da quello nei magazzini?
Siamo abituati a interagire con i corrieri o gli autisti che consegnano i pacchi, ma pur non vedendo il lavoro digitale per MTurk è in crescita esponenziale. Si può trattare di etichettare dati o copiare numeri di ricevute (micro tasking), oppure di un grande progetto come una campagna mediatica, scrivere codice, montaggio video (macro tasking). Anche le retribuzioni possono variare molto. I dati indicano che coloro che reclutano lavoro online si trovano nel Nord del mondo, mentre chi lo svolge si trova a Sud. Offrire pochi dollari negli Stati Uniti è diverso dall’offrire la stessa cifra nel Sud. Questi lavori possono rappresentare un’opportunità in luoghi ad alta densità di economia informale o in contesti patriarcali dove è più semplice per una donna lavorare da casa. Amazon chiama questi “compiti di intelligenza umana” e svolgendoli è evidente che ci deve essere una persona a svolgerli anche se sono banali e ripetitivi – come quando ci viene chiesto di dimostrare di non essere robot cliccando sui semafori. Quel lavoro contribuisce ad alimentare i dati che saranno utilizzati dagli algoritmi di apprendimento automatico per addestrare l’intelligenza artificiale. Il lavoro è estremamente precario, con MTurk ci viene ricordato costantemente che non si è un dipendente di Amazon e che non si lavora per la persona o l’azienda che posta il lavoro sulla piattaforma. Si viene pagati in base alla mansione, ma solo se questa viene approvata, con il paradosso che chi non approva e no paga può lo stesso utilizzare il frutto del tuo lavoro. Per alcuni compiti completati da migliaia di lavoratori, l’approvazione o il rifiuto vengono effettuati da un algoritmo. Con chi si comunica in questi casi di gestione algoritmica? In un magazzino di Amazon si sa chi è il management, mentre con Uber si può essere assunti e licenziati dall’applicazione. Anche in MTurk c’è una gestione algoritmica che calcola il tuo tempo, il punteggio di approvazione, ecc. E in base al tuo indice di gradimento puoi accedere o meno a un certo mercato. I lavoratori non hanno un’assicurazione, non possono essere rappresentati da sindacati, i diritti del lavoro tradizionali stanno scomparendo nella gig economy e sono spinti all’estremo con il lavoro online. Se l’azienda si trova in un’altra parte del mondo e può persino pubblicare compiti su MTurk in forma anonima, a chi ci si rivolge? Amazon vi dirà che è lì solo per fare da intermediario tra domanda e offerta e fornire la tecnologia. E come determino la paga minima? Mi baso sul luogo in cui il lavoratore svolge il lavoro o sulla sede del committente?
Amazon vende la flessibilità come libertà, cosa che non funziona in questo discorso.
Il mio primo istinto è quello di chiedere flessibilità per chi? Se devi prenderti cura di un’altra persona o dei figli, puoi svolgere qualche task con i tuoi tempi. Ma prendiamo l’esempio di un lavoratore indiano che svolge compiti per un’impresa europea, in alcuni casi la sua giornata lavorativa dovrà adattarsi all’orario europeo. Poi c’è il tempo non pagato: se un rider è “in servizio” ma riceve solo due chiamate, avrà passato ore in attesa per una paga misera. Anche su MTurk, vengo pagato per ogni compito, ma impiego tempo per cercare e richiedere i compiti, come fossi un libero professionista. Su MTurk c’è di tutto, da chi dipende da quel lavoro ed è incatenato al proprio laptop a studenti che arrotondano, e più si dipende dalla gig economy per il proprio reddito, meno la flessibilità/libertà è un tema. Bisogna essere pienamente operativi ogni giorno nella speranza di ottenere le mansioni più remunerative e lo stesso vale per gli autisti e le consegne di cibo.
Organizzazione del lavoro e transnazionalizzazione. Quali sono le strategie? Cosa funziona? Ci sono questioni transnazionali e questioni locali.
Questo è un aspetto che ho sentito sottolineare dai magazzinieri in molte occasioni: questa è un’azienda transnazionale e dobbiamo organizzarci a livello transnazionale. Un esempio perfetto può essere il caso della Germania, che al di fuori degli Stati Uniti è il mercato più grande e dove si è verificato il primo sciopero nella storia di Amazon. Sono 10 anni che si organizzano per chiedere un accordo di contrattazione collettiva senza successo anche se qui se non ci sono ostacoli come negli Stati Uniti per far entrare un sindacato in azienda. Uno dei motivi principali è come coordinare il livello locale e quello nazionale e cosa fare se Amazon ha anche magazzini in Polonia che si rivolgono al mercato tedesco. Anche quando si riesce a unificare la campagna a livello nazionale, ci sono magazzini appena oltre il confine che inviano i prodotti ai clienti. L’intero sistema è molto decentralizzato, nella maggior parte dei magazzini c’è un po’ di tutto. Amazon è molto abile nell’ostacolare il lavoro sindacale o la nascita dei sindacati al proprio interno. Poi le condizioni sono diverse (lavoratore con un visto o cittadino nazionale), le lingue diverse, il che complica anche il coordinamento e l’organizzazione. In un Paese come la Germania non si rischia di perdere il lavoro se si aderisce a un sindacato, ma questo è un aspetto che va chiarito a chi non è tedesco. Chi si mobilita viene punito: molti mi hanno detto che chi è più attivo viene più spesso messo a fare il picker – chi cerca le merci da spedire – che è il più faticoso dei compiti, si cammina per circa 20 km al giorno. Ci sono le difficoltà per l’organizzazione dei lavoratori in generale e c’è un’azienda che ha la reputazione di essere dura con i sindacati. Con Tesla, Amazon è in cima alla lista delle imprese che farebbero di tutto per indebolire l’organizzazione dei lavoratori.
Che potere hanno i lavoratori in questo quadro tanto complicato?
I lavoratori del passato sono la ragione per cui abbiamo i diritti di cui possiamo godere oggi e non hanno avuto vita facile neppure loro. Quando si parla dei magazzini di Amazon, direi che il potere dei lavoratori può essere percepito e concettualizzato in termini tradizionali: se i lavoratori sono in grado di organizzarsi in un’area geografica ampia, possono in teoria fermare la circolazione delle merci. È mai successo? Sì, ma non sempre se ne sente parlare. È capitato che i manager dovessero andare a impacchettare gli articoli. Il motivo per cui ciò non accade più spesso e ovuqnue è legato agli ostacoli che ho menzionato. C’è una campagna globale chiamata Make Amazon Pay che, in occasione del Black Friday, porta a scioperi dove questo è possibile o a forme di solidarietà altrove. Le regole per la sindacalizzazione o la contrattazione collettiva sono cruciali ed è per questo che sottolineo l’importanza del contesto. Quando si parla di lavoratori MTurk, una categoria che va oltre i gig worker che si basano sulla localizzazione come rider o autisti, che sono stati in grado di organizzarsi, l’organizzazione tradizionale è impossibile o quasi. Come si può pensare a uno sciopero globale online quando si lavora online da casa? Se decido di non lavorare, nessuno se ne accorgerà, ci sarà solo un compito in meno svolto. Inoltre, i lavoratori online non sono nemmeno classificati come lavoratori. Questi lavoratori possono sembrare invisibili, ma si dimostrano solidali tra loro. Su Reddit si trovano elenchi di suggerimenti e consigli su come trovare buone mansioni o si ha una comunità. TurkOpticon, ad esempio, è iniziato con un sondaggio condotto da ricercatori che hanno chiesto ai lavoratori quali sono i problemi che vi preoccupano di più. Chiedere ai lavoratori è un modo per capire. Oggi su TurkOpticon i lavoratori valutano i clienti, fanno domande e condividono informazioni, avvertendo chi evitare perché non vi pagherà e chi invece lo farà. Ci sono modi meno tradizionali di organizzarsi e noi possiamo imparare da questi modi e incorporare anche gli strumenti digitali nella più ampia lotta per il lavoro.