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16   giugno

“La governance globale è una chimera” intervista a Wolfgang Streeck

Il 19 maggio, il professor Wolfgang Streeck (direttore emerito del Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung) è stato uno degli ospiti della conferenza “Sovranità e sistemi statali dopo il globalismo” insieme alla professoressa Beverly Silver (Ciampi Visiting Scholar della Johns Hopkins University). Due diversi punti di vista e diagnosi sulla profonda crisi che sta attraversando l’ordine mondiale internazionale (il video della conferenza è disponibile qui).

Il professor Streeck è stato intervistato da Lucy sulla cultura. Di seguito la prima parte dell’intervista (originariamente in italiano).

 

La governance globale è una chimera, intervista a Wofganf Streeck

L’ordine mondiale emerso dalla crisi degli anni ’70, quello che, convenzionalmente, chiamiamo globalizzazione neoliberista, della quale gli Stati Uniti sono stati assieme promotori e potenza egemone, sta andando in pezzi. Le disastrose avventure militari in Iraq e Afghanistan, la crisi finanziaria del 2008, la gestione del Covid, la polarizzazione politica e sociale sono tutti sintomi di una crisi esistenziale degli USA e del mondo che hanno plasmato dalla Guerra Fredda in poi. Ma questo “disordine” – che da Trump sembra incoraggiato, se non proprio perseguito – non comincia nel 2020 e neppure nel 2016, quando il tycoon è stato eletto per la prima volta. Di questo almeno è convinto Wolfgang Streeck, sociologo tedesco e direttore emerito del prestigioso Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung di Colonia, che da anni descrive questa crisi come una questione coniugale, ovvero il divorzio tra democrazia e capitalismo dopo il benessere socialdemocratico (o del New Deal) successivo alla crisi del ’29 e ai decenni turbolenti tra la Prima Guerra Mondiale e la fine della Seconda. Dopo due decenni di crisi, rivoluzioni, dittature e guerre, il compromesso fu quello di ampliare la sfera dei diritti sociali (e i costi ad essi associati) anche alle masse di lavoratori che erano in un modo o nell’altro state protagoniste (e vittime) di quella stagione. Oggi quel moto di speranza (e quell’illusione) è molto lontano. La promessa di un progresso costante non tiene più; in Occidente i redditi si contraggono, crescono povertà e malessere sociale.

Sono dunque questioni enormi ed epocali quelle che abbiamo chiesto di affrontare a Wolfgang Streeck, incontrato al termine di un seminario all’Istituto Ciampi della Scuola Normale Superiore a Firenze dal titolo “Sovereignty and State Systems after Globalism”, nel quale il sociologo dialogava con Beverly Silver, studiosa del capitalismo come sistemamondo (ovvero del capitalismo come sistema globale unico nel quale una potenza esercita la propria egemonia sulle periferie) che pure conviene con l’idea che questa fase del capitalismo sia giunta al termine e che l’equilibrio garantito in qualche forma dall’egemonia Usa abbia lasciato spazio a una fase di “caos sistemico”.

Nel suo ultimo Taking Back Control? States and State Systems After Globalism (Verso, 2024) Streeck prosegue il ragionamento esposto in lavori precedenti su quello che definisce un sistema in crisi dopo che deregolamentazione e finanziarizzazione hanno reso il mondo un mercato interconnesso e contribuito di conseguenza a separare governo democratico, che resta nazionale, e capitalismo. Da questa scissione è emerso un ordine centralizzato e tecnocratico, incapace di dare risposte alle grandi questioni che si trova a fronteggiare e tendenzialmente impopolare tra coloro che si vedono imporre soluzioni e trasformazioni dall’alto. Un discorso che vale per l’Europa ma anche, ad esempio, per le regole ambientali volute da Biden negli Stati Uniti, vissute da imprese, agricoltori e anche da diversi cittadini come costrizioni. Streeck vede nell’Europa governata da Bruxelles l’esempio massimo – o forse quello che più lo tocca – di questo ordine burocratico centralizzato. L’alternativa a questo ordine, di cui parla alla fine di questa intervista, è la possibilità per gli Stati e le società che governano di riprendere il controllo sul loro destino collettivo. L’idea è quella di rinnovare la teoria dello Stato ispirandosi al lavoro di Karl Polanyi e John Maynard Keynes.

A causa del suo sostegno al progetto politico di Sahra Wagenknecht, l’ex leader della Linke tedesca che ha fondato un suo partito con qualche nota rosso-bruna, Streeck si è dovuto difendere qui e là dalle accuse di volere un ritorno a Stati-nazione di natura molto diversa da quelli in cui viviamo oggi. In questa intervista e altrove il sociologo tedesco presenta le sue idee immaginando un sistema statale che consenta una governance democratica all’interno e una cooperazione pacifica tra Stati nazionali sovrani. Il punto, insomma, per Streeck, è la scarsa democrazia delle decisioni di Bruxelles o di altri organismi sovranazionali non elettivi che genera malumore e non appare in grado di superare la crisi in cui ci troviamo. Qui e là, nel suo discorso, spunta qualche elemento di conservazione, o meglio di nostalgia per i decenni socialdemocratici, per un mondo più ordinato e rassicurante.

 

Nei suoi libri descrive un collasso dell’ordine globale. Quali sono le sue caratteristiche? Quali i sintomi di questo crollo?

Per rispondere come si deve dovremmo parlarne per giorni. Direi che ci sono due livelli: uno di superficie e uno strutturale. In superficie vediamo fenomeni improbabili e talvolta incoerenti, come Donald Trump o i partiti neo-fascisti che improvvisamente diventano paladini dell’Europa; e poi naturalmente l’ondata di populismo di destra. Ma, secondo me, questi sono solo sintomi, non “la” crisi in sé. Il vero problema è molto più profondo. Il punto cruciale, direi, è che il capitalismo non riesce più a mantenere le sue promesse in senso ampio. La promessa di una ricchezza in costante crescita nel mondo, la sicurezza sociale che funzionava da ammortizzatore delle disuguaglianze, l’idea che basti un lavoro per vivere. Perfino la promessa che le cose andranno meglio, se non per te, almeno per i tuoi figli. Neanche a questo crediamo più. Come mai? Perché c’è un problema di fondo in un sistema economico che dipende dalla crescita permanente, dall’accumulazione continua di capitale: Servono persone disposte a lavorare per arricchire altri, che a loro volta investiranno quel capitale per assumere ancora più persone. La promessa implicita era che in questo sistema anche se non possiedi il capitale, non fai profitti, vivrai comunque meglio. Un discorso non più credibile. Nessuno ci crede più, neanche se a prometterlo è l’uomo più ricco del mondo. Questa mancata promessa si traduce in una serie di crisi strutturali. Una tra queste è che le istituzioni non riescono più a compensare in qualche forma le promesse non mantenute dal capitale. Io la chiamo la “crisi fiscale dello Stato”. In passato lo Stato riusciva utilizzando la leva fiscale o stampando moneta a dare l’impressione che le cose migliorassero. Ora i soldi non ci sono più. Devono “inventarsi” il denaro, cioè indebitandosi sempre di più.

 

Il sistema che lei indica come in crisi strutturale e critica è un sistema nominalmente multilaterale, basato su istituzioni globali, regole condivise, una governance globale…

Una governance che non funziona, che non può mantenere le promesse, che non può dare risposte alle domande globali.

 

Il seguito dell’intervista con il professor Streeck è qui