Quanto e come rischia di cambiare la democrazia statunitense con la seconda presidenza Trump? Cosa c’è di nuovo rispetto al 2016?
Lo abbiamo chiesto a Nadia Urbinati, visiting scholar all’Istituto Ciampi e professoressa di scienze politiche alla Columbia University che incontriamo dopo una discussione allo stesso Istituto alla quale prendevano parte anche lo storico e americanista Mario Del Pero (Science Po), la studiosa di movimenti sociali Donatella Della Porta (SNS) e lo scienziato politico Philip Schmitter (EUI).
Siamo partiti dal guardare ad alcune caratteristiche di questa vittoria repubblicana, a detta di Urbinati, parzialmente diversa rispetto a quella del 2016.
“Una premessa: mi baso su piccole osservazioni e non su un’analisi puntuale di dati che andranno analizzati con più cura. Ci sono segmenti dell’elettorato, anche piccoli e non necessariamente negli Swing States, dove il lavoro delle campagne per portare tutti al voto è molto più intenso, che non hanno scelto i democratici o che hanno ritenuto non importante andare a votare: donne, maschi delle minoranze, elettorato bianco che vive nelle metropoli o in Stati a prevalenza democratica come new York e il New Jersey che ci indicano come ci sia una forma di trasversalità nel consenso a Trump che non avevamo visto prima. Almeno da quando i Democratici avevano costruito quella
che si è chiamata “coalizione Obama” la composizione del voto ci mostrava una polarizzazione più radicale. Non siamo oltre quella polarizzazione, ma non è detto che i gruppi sociali siano più necessariamente fedeli a un partito piuttosto che a un altro: come è capitato per molte ondate migratorie, alcuni ispanici di seconda o terza generazione prendono le distanze, separano politicamente i loro destini dai nuovi arrivati votando per il presidente che promette di rispedire questi ultimi a casa. E le donne non votano necessariamente donne. Quali che siano le ragioni, questo voto ci restituisce un’America profondamente divisa, certo, ma dove quella polarizzazione in due Americhe completamente separate sembra conoscere delle lacerazioni.”
“A questo proposito possiamo forse parlare di una campagna Trump capace di unire a fronte di un partito democratico che settorializza. I democratici hanno coniugato in senso identitario la questione dell’ampliamento dei diritti (delle donne, degli omosessuali, delle minoranze) e questo ha settorializzato il discorso politico. La vicenda americana è quella di un paese che integra ondate successive, con una storia breve e con una narrazione della possibilità di riuscire (il sogno americano). Questa narrazione forma identità del cittadino americano, fornisce senso, che però si perde se ciascuno ha una sua rivendicazione. C’è dunque un problema di stabilità dell’identità nazionale. Unità nazionale e possibilità di farcela camminano assieme e questi diritti di nuova generazione vengono percepiti da molti come una rottura in questa identità comune che evidentemente genere rancore profondo in chi è cresciuto con una narrazione diversa, in parte reale e in parte fittizia, di un paese unico e unito”.
L’intervista è stata pubblicata da Micromega e continua qui (è necessaria la registrazione per leggere il testo completo).