Doug McAdam (Stanford): “Il fenomeno Trump non sbuca dal nulla ma è il prodotto di una storia di divisioni, cominciata nell’era dei diritti civili e alimentata dalla scelta del partito repubblicano di usarle per costruire la propria base di consenso.”
La campagna per le presidenziali USA è stata la rappresentazione, l’ennesima, di una società divisa e di una politica mai così polarizzata. La terza candidatura di Donald Trump e i toni da questi usati nelle ultime settimane prima del voto sono il segnale di una situazione che difficilmente tornerà calma con il voto. Il fenomeno Trump non sbuca dal nulla ma è il prodotto di una storia di divisioni, cominciata nell’era dei diritti civili e alimentata dalla scelta del partito repubblicano di usarle per costruire la propria base di consenso.
Douglas McAdam, professore di sociologia all’Università di Stanford, è convinto che il trumpismo venga da una lunga storia. Lo studioso di movimenti sociali e politici è stato ospite dell’Istituto Ciampi, gli abbiamo chiesto di ricostruire questo legame tra la figura del candidato ed ex presidente e le fratture razziali che attraversano tutt’ora la società statunitense.
«Dalla fine della Guerra Civile (1865, ndr) fino alla Ricostruzione assistiamo a uno sforzo per cambiare la struttura economica, sociale e politica del Sud, per renderlo una regione meno segregata. Dal 1880 per via di un accordo frutto dello stallo politico a Washington, la questione dei diritti civili viene restituita agli Stati. Il Sud diviene monopolio dei Democratici, i Repubblicani sono il partito che abolisce la schiavitù e fino al 1960 (con la pausa della presidenza Roosevelt) la struttura geografica politico/razziale USA resta uguale. La decisione di Lyndon Johnson di ascoltare il movimento per i diritti civili cambia tutto. La scelta dell’ex vice di Kennedy è il frutto di una mobilitazione senza precedenti nella storia USA, ma i diritti civili trovano ascolto nelle istituzioni anche per la Guerra Fredda: la discriminazione contro i neri era infatti uno strumento di propaganda, il tema della superiorità della democrazia a confronto con i regimi totalitari del blocco sovietico è debole con le leggi razziali in vigore. Il Civil Rights Act ha un costo elevato per i Democratici, nel 1964 il Sud bianco fa l’impensabile e sceglie di votare per l’odiato partito di Lincoln. I Democratici, sotto la pressione del movimento per i diritti civili, si spostano a sinistra sulle questioni interne e i repubblicani, percependo un’opportunità, spostano il partito a destra. Da allora la direzione è quella. Trump, insomma, non è la causa della polarizzazione ma, a mio avviso, ne è l’espressione più estrema, dobbiamo collocarlo in un contesto storico più ampio, perché altrimenti potremmo pensare che se perdesse le elezioni le divisioni e la crisi della democrazia americana verrebbero superate. Non è così»