Il voto per le presidenziali in Cile ci restituisce una volta di più un quadro ultra polarizzato nel quale la sinistra giunta al governo sulla scia dei movimenti sociali si trova a competere con una destra estrema che utilizza diversi argomenti ripresi dalla agenda trumpiana. Quale è la causa di questa polarizzazione e come mai i movimenti politici populisti e quelli che possiamo definire socialdemocratici hanno generato reazioni tanto forti da far crescere (o tornare) partiti della destra radicale e talvolta nostalgici del passato delle giunte militari? Che tipo di polarizzazione si è verificata nei singoli paesi? Queste, in sintesi, sono le domande a cui Santiago Anria, politologo della Cornell University, ha cercato di rispondere nel suo intervento durante la prima giornata della conferenza internazionale “Protesting Crises: Progressive Social movements in the Face of Authoritarian Backlash”. L’intervento di Anria non è un commento alle elezioni cilene e viene ben prima di queste, ma la lettura del politologo contribuisce a leggere quanto capita anche in quel paese.
Nel suo intervento Anria ha presentato due diversi percorsi tratti da casi studio di paesi diversi che rappresentano due diverse traiettorie di polarizzazione: quella populista (Venezuela, Bolivia, Ecuador) e quella socialdemocratica (Brasile, Cile, Uruguay), con l’Argentina nel mezzo. In questo post riassumiamo brevemente il discorso del professor Anria e gli poniamo alcune domande.
Secondo Anria, nelle società altamente segmentate dal punto di vista sociale, la polarizzazione può essere uno scenario positivo in grado di “migliorare la responsabilità democratica costringendo i partiti a prendere posizioni significativamente diverse su questioni salienti, a rispondere agli interessi di diversi tipi di elettori e a sviluppare fedeltà al marchio tra i cittadini che hanno a cuore le principali questioni politiche”. Il lato negativo è quando i governi utilizzano il “nemico” politico per piegare le istituzioni ai propri interessi, negare la legittimità democratica di altri attori e possono “paralizzare le istituzioni democratiche o, peggio ancora, minacciarne la sopravvivenza stessa quando gli antagonisti politici smettono di elaborare le loro differenze con mezzi democratici reciprocamente riconosciuti” (Anria S., Roberts K. M., Polarization and Democracy: Latin America After the Left Turn, University of Chicago Press, 2026).
Sinistra populista e socialdemocratica a confronto
| Esperienze formative
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Contesto istituzionale
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| Socialdemocratica
(Brasile, Cile) |
– Partiti di sinistra consolidati; repressi dal regime militare
– Attori chiave nelle transizioni democratiche – Concezione della democrazia come pluralismo istituzionalizzato
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– Accesso al potere attraverso un’alternanza regolare
– Governo attraverso coalizioni multipartitiche – Tentativo di contenere la polarizzazione
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| Populista
(Bolivia, Venezuela, Ecuador) |
– Nuovi movimenti politici con scarsa esposizione a regimi militari
– Forgiati dalla reazione contro i partiti tradizionali – Concezione della democrazia come sovranità popolare o empowerment |
– Vittorie elettorali dove i sistemi partitici tradizionali erano crollati
– Occupazione di uno spazio politico vuoto – Hanno invocato mandati plebiscitari per “rifondare” gli ordini costituzionali, polarizzando il quadro politico
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Lo schema presentato dal professor Anria, come egli stesso ha ricordato, non mostra le numerose differenze esistenti anche all’interno dei due gruppi: in tutti questi paesi la sinistra era pluralistica, con diverse correnti in lotta per la supremazia. Inoltre, tutte le forze politiche promettevano di approfondire la democrazia, rendendola più partecipativa, ma nella pratica hanno avuto grandi difficoltà a gestire questa idea.
Ogni paese ha un percorso diverso: in Brasile e Cile i partiti che cercavano di trasformare il sistema sono stati trasformati da esso a causa di una “tentazione conformista” o di una logica tecnocratica che ha dovuto affrontare reazioni negative sia dalla sinistra (movimenti sociali) che dalla destra populista radicale. Nel caso dei populisti, la volontà di riformare unilateralmente le istituzioni e il ruolo cruciale di leader carismatici che hanno reso molto difficile la successione hanno reso vulnerabile la sinistra populista. In tutti i casi abbiamo assistito a una reazione della destra, in alcuni casi con tendenze autocratiche. In Cile e Brasile l’attenzione si è concentrata anche su questioni culturali: religione, genere, razza, ecc.
Alcune domande per il professor Anria
Cosa determina, secondo lei, le scelte che lei definisce “conformiste” e “tentazioni autocratiche”?
Sebbene esista una spiegazione politica per le diverse traiettorie della sinistra latinoamericana, il comportamento al potere delle diverse forze di sinistra è stato plasmato dalle loro esperienze storiche e dai contesti istituzionali. Ciò significa che né la sinistra socialdemocratica ha scelto di essere conformista, né la sinistra populista ha scelto di essere autocratica. Ma ciascuna ha avuto esperienze formative diverse, che hanno plasmato la loro stessa comprensione della democrazia, e queste idee sono state rafforzate e riprodotte dai contesti istituzionali in cui hanno avuto accesso al potere durante la svolta a sinistra dell’America Latina. E queste hanno contribuito in ultima analisi ai tipi di vulnerabilità a cui erano inclini.
Possiamo avere alcuni esempi di come la polarizzazione prende forma in contesti diversi?
Qui potrebbe essere importante un po’ di contestualizzazione. Tutti sapevano fin dall’inizio della svolta a sinistra che le svolte a sinistra nei casi populisti del Venezuela e della Bolivia erano polarizzanti, poiché la polarizzazione è intrinseca alla costruzione del campo politico da parte del populismo; è una delle sue proprietà distintive. Ma questo non era decisamente il caso delle sinistre socialdemocratiche in Brasile e Cile, che si erano esplicitamente prefissate di evitare le battaglie ideologiche polarizzanti e i conflitti di classe che avevano minato i loro regimi democratici negli anni ’60 e ’70. I partiti che hanno guidato la svolta a sinistra in questi ultimi due casi hanno compiuto sforzi espliciti per moderare le loro piattaforme e costruire ampie coalizioni di governo multipartitiche al fine di contenere gli effetti polarizzanti. Ciò che trovo interessante è che la polarizzazione si è intensificata in entrambi i casi, un punto che mette in discussione la distinzione tra sinistra populista e socialdemocratica. L’altra cosa interessante, aggiungerei, è che è fondamentale distinguere la polarizzazione “ideologica” da quella “istituzionale”. La prima (distanza ideologica tra i principali attori) si è intensificata ovunque, mentre la seconda (conflitto tra rivali sulle regole di base del gioco) è stata probabilmente più acuta nei casi di populismo di sinistra, dove i partiti o i movimenti hanno usato il loro potere per riscrivere le regole del gioco, a volte senza il consenso o la collaborazione di altri attori.
Qual è stata la reazione giusta sia nel contesto socialdemocratico che in quello populista?
Trovo interessante che la destra si sia rafforzata su tutta la linea. Le reazioni conservatrici sono sicuramente emerse come effetto collaterale dei movimenti e dei partiti progressisti volti a ridurre le disuguaglianze sociali ed economiche, anche nei casi in cui si sono verificate svolte a sinistra molto moderate e istituzionalizzate, in cui i partiti socialdemocratici hanno compiuto sforzi espliciti per costruire ampie coalizioni, moderare i loro programmi e smorzare le tendenze polarizzanti. Si pensi alla moderazione del PT in Brasile. Gli sforzi per contenere la polarizzazione avrebbero potuto attenuare i timori della destra sulla natura minacciosa della sinistra, ma non è stato così. Questa esperienza dimostra che una sinistra radicale e altamente polarizzata non è una condizione preliminare per l’emergere di una destra radicale: anche forme relativamente modeste di inclusione sociale a favore di chi sta “in fondo” generano una virulenta opposizione da parte dell’estrema destra.
Esiste un legame solo con la storia politica o anche con la società e l’economia? Mi spiego meglio: la scelta conformista di Lula è anche il risultato della necessità di governare un Paese così complesso e vasto? Le scelte “bolivariane” non sono in qualche modo compromesse dalla presenza di un sottosuolo ricco che consente un uso aggressivo della spesa pubblica (politiche più radicali) senza dover riflettere troppo?
Sì, certo: la sinistra ha dovuto affrontare enormi vincoli strutturali e si può pensare che il suo percorso sia stato condizionato da fattori strutturali e politici. La mia analisi, basata sul mio prossimo libro scritto insieme a Ken Roberts, offre una spiegazione politica, ma non sostiene che tutte le variazioni osservate possano essere spiegate solo da fattori politici. Si pensi all’Uruguay, ad esempio, che può aiutare a rispondere a entrambe le domande: è stato in grado di compiere progressi significativi nell’inclusione sociale, evitare le peggiori insidie della tentazione conformista e contenere le dinamiche di polarizzazione. Il fatto che l’Uruguay ci sia riuscito può essere spiegato, almeno in parte, dal fatto che ha combinato maggioranze legislative con forti legami con i movimenti sindacali e sociali. Ma non solo. Le pressioni redistributive erano anche meno acute nel Paese, dato il suo forte welfare state, i livelli di disuguaglianza più bassi e una più forte erogazione di servizi pubblici.